ALLE RADICI DEL TERMINE
Etimologicamente la parola vergogna deriva dal latino vereor che significa rispetto, timore rispettoso, mentre il corrispettivo inglese shame si collega alla radice indoeuropea Kam/Kem che significa coprire, velare, nascondere. Dunque il termine di derivazione latina mette l’accento sulla motivazione scatenante la vergogna, ovvero il senso del rispetto, mentre l’altro sottolinea un elemento centrale rispetto alla sua fenomenologia (al come viene vissuta la vergogna): il nascondimento.
CHE COS’E’ DUNQUE LA VERGOGNA?
La vergogna è un affetto che accompagna una percezione di se stessi inadeguata rispetto alle aspettative proprie e altrui, inadeguatezza che può far riferimento ad aspetti di ordine fisico-estetico, socio-culturale, morale, comportamentale… Centrale in tale esperienza affettiva è il sentirsi visti e scoperti di fronte a se stessi o agli altri; è come se la persona facesse un’esperienza di sé solo per quegli aspetti ritenuti meno dignitosi e a volte ridicoli.
FENOMENOLOGIA: DELLA VERGOGNA: CARATTERISTICHE SPECIFICHE
L’esperienza fenomenologica di chi prova vergogna è un desiderio di nascondersi, scomparire; si tratta di uno stato doloroso che produce un blocco dell’attività in corso, confusione dei pensieri e incapacità di parlare. Dal punto di vista fenomenologico il senso della vergogna viene descritto come un senso improvviso e sgradevole di nudità, di sentirsi spogliati, smascherati, con il conseguente desiderio di sparire, sprofondare o diventare invisibili.
La vergogna ha alcune caratteristiche peculiari che la distinguono da altri affetti:
- ha un carattere ricorsivo (ci si vergogna di vergognarsi-la vergogna è un affetto che si autoalimenta)
- è transpersonale (si prova vergogna non solo per se stessi, ma anche per coloro che appartengono al sé allargato- famiglia, amici, gruppo di appartenenza)
- ha una proprietà transitiva (ci si vergogna di aver fatto vergognare qualcuno… in questo caso è presente una forte connessione con il senso di colpa)
- ha un importante capacità traumatogena: “attacca” in modo repentino, immobilizzando le funzioni psichiche più evolute. Questa “siderazione” globale dell’attività mentale genera a sua volta sentimenti di confusione e impotenza che si riverberano, proprio in virtù del carattere ricorsivo, in un ulteriore vissuto di vergogna.
- ha la caratteristica instabile e aleatoria: se da un lato si tratta di un emozione episodica, in cui non si resta a lungo, (può scomparire altrettanto repentinamente cedendo la ribalta ad altre emozioni, quali la rabbia, la colpa, la tristezza, l’invidia)
- può mantenersi nel tempo e talvolta riprodursi con le medesime caratteristiche dolorose e brucianti, anche a distanza di anni.
Proprio in virtù di tutte queste sue caratteristiche specifiche, è possibile che la vergogna in alcuni casi faccia sentire “impotenti”: lavorarci su vuol dire avere a che fare con la sfera narcisistica del rapporto con se stessi. Ciò richiede un difficile lavoro di accettazione di sé.
MANIFESTAZIONI SOMATICHE
Spesso anche il corpo viene chiamato in causa da quest’emozione e ne diventa il supporto espressivo. Fra le reazioni corporee c’è un ripiegarsi su se stessi, un farsi piccoli come per nascondersi alla vista propria e altrui, appunto perché ci si percepisce nudi, esposti allo sguardo dell’altro, molte volte visti per come si è e non ci si sarebbe voluti mostrare. La mimica della vergogna esprime bene ciò con gesti quali ad esempio il chinare il capo o l’ incurvarsi, quasi nel tentativo di ridurre l’area corporea esposta, il coprirsi la faccia e altre parti del corpo, l’abbassare gli occhi, quasi a evitare di guardare per non vedere di essere visti, o ancora la tendenza a farsi immobili, come a mimare lo stato di paralisi dell’Io compartecipandovi anche con il corpo.
DUE DIMENSIONI:SOGGETTIVA E RELAZIONALE
La vergogna si pone sul crinale tra intrapsichico e interpersonale: si tratta, infatti, di un sentimento che riguarda contemporaneamente la sfera della massima intimità dell’individuo e della sua interiorità, il senso di sé, (con le sofferenze e i disagi ad esso connesse) e la dimensione relazionale- sociale (sentirsi visti dall’altro).
Se sul piano intrapsichico la vergogna ha a che fare con un’eccessiva discrepanza tra il sé ideale e il sé reale, nonché con la rigidità di modelli troppo alti del sé il cui mancato raggiungimento genera spesso rabbia e senso di impotenza, mentre sul piano interpersonale essa riguarda relazioni che non sono (o non ancora) intersoggettive (da persona a persona), bensì fortemente asimmetriche (del tipo soggetto-oggetto), dove l’altro da cui ci si sente guardati (male!) è il Soggetto che sentiamo giudicante nei nostri confronti.
VERGOGNA E IMMAGINE DI SE’
Affinché la percezione e valutazione negativa del proprio sé non produca solo un abbassamento per quanto doloroso dell’autostima, quindi una condizione in senso lato depressiva, ma induca quell’affetto bruciante che è appunto la vergogna, è necessario che il deficit sia vissuto come intollerabile, soprattutto in quanto paragonato all’Ideale di Sé, al come vorremmo essere o pensiamo di dover essere ed essere percepiti, con la sensazione specifica di aver tradito l’immagine desiderata del Sé.
Diversamente dalla colpa, la vergogna è strettamente legata all’immagine di sé, in altre parole è connessa non tanto a ciò che si fa o si è fatto, quanto a ciò che si è; vale a dire che se nella colpa vi è un sentimento di autocondanna rispetto ad un’azione specifica, nella vergogna la condanna riguarda in modo generalizzato il sé o comunque parti di sé percepite come inadeguate; mentre la colpa appartiene al registro della trasgressione, la vergogna a quello dello scacco, del non sentirsi all’altezza.
In altre parole sono intrinseci alla vergogna una “misurazione” dell’immagine di sé e un continuo paragone tra il “come sono” e il “come dovrei essere per poter essere considerato degno e per poter essere amato”: tale scarto o comunque la discrepanza percepita tra parti del sé reale (come sono) e del sé ideale (come vorrei essere), seguita da critiche, disapprovazioni e condanne, genera l’affetto bruciante della vergogna.
NON TUTTO IL MALE VIENE PER NUOCERE
La vergogna svolge anche irrinunciabili funzioni: esso è un affetto necessario alla costituzione del sé, indispensabile al mantenimento della nostra integrità e valore, nonché funzionale alla capacità di nutrire dubbi costruttivi su noi stessi.
Una certa quota di imbarazzo e vergogna, nella vita di tutti i giorni, funge da regolatore di una buona distanza anche in senso fisico nella relazione e massima in tema di sguardo, poiché segnala la tendenza a ridurre l’interesse da parte dell’altro, quando questo venga sentito come eccessivo e quindi quando subentrano l’ansia e il fastidio provocate da queste intrusioni nello spazio privato.
DA PERSONA A PERSONA
Nella dinamica della vergogna, il problema della capacità e adeguatezza del sé non si limita a fare riferimento al come siamo e come vorremmo essere, ma è strettamente collegato alla relazione di potere che si instaura con l’altro.
Riflettere sulla vergogna permette di riflettere sul tipo di relazione che instauriamo, di volta in volta con l’altro. Almeno potenzialmente infatti, possiamo non solo subire la vergogna, ma anche indurla o quantomeno alimentarla. Possiamo correre questo pericolo quando ci limitiamo a percepire l’altro come oggetto del nostro sguardo e nient’altro, invece di percepirlo come “altrettanto soggetto”, luogo di iniziativa autonoma di un sentire e di un pensare diverso dal nostro, un “altro” che è sì oggetto del nostro sguardo, ma anche Soggetto di uno sguardo che sua volta si posa su di noi e che rimane in gran parte misterioso poiché non si esaurisce mai in ciò che vediamo. Mantenere la consapevolezza del mistero che ciascuna persona continua ad essere per se stessa e per l’altro tiene viva allo stesso tempo la possibilità di uno svelamento ulteriore sempre possibile.
VALORE ADATTIVO
E’ a questo punto che vorrei inserire quell’aspetto della vergogna che, se “vista”, accettata ed elaborata, sembra portare in sé un passaggio evolutivo, di affermazione della soggettività: si tratta della vergogna-pudore, intesa nel senso di rispetto di sé, contenimento, parziale nascondimento, requisito necessario a salvaguardare la soggettività individuale nella vita in comune. Diversamente dalla vergogna, il pudore è un sentimento che non porta in sé alcun elemento di giudizio negativo rispetto a ciò che cerca di proteggere, bensì afferma la necessità di difendere quegli aspetti di sé sentiti come fragili, intimi e delicati da intrusioni invasive nella sfera dell’intimità. Il vissuto del pudore comporta l’accettazione del limite di una vicinanza tra sé e l’altro … il pudore è una necessità vitale, è “luogo di libertà” (Monique Selz 2005), significa rispetto per se stessi, capacità di onorare i propri confini e la propria integrità nel rispetto dei confini altrui.
PERCHE’ PARLARE DI VERGOGNA
La vergogna, così come la collera, l’odio e l’amore, rappresentano la qualità dinamica e cromatica della nostra esistenza e non sono realtà psicologiche nascoste in una qualche teoria di riferimento, ma esistono sul volto di quella persona, vivono nei suoi gesti, fanno parte, insomma, di quella sua particolare storia personale. Se si dimentica questo, la vergogna raramente può trovare uno spazio di ascolto.
Qualunque psicoterapia presuppone per la persona una scelta di visibilità di parti fragili e intime di sé, in altri termini di “rischiare la faccia”. Nella presa in carico iniziale la persona bussa alla porta sperando di trovare ascolto e comprensione, possibilmente sollievo.. e la vergogna può essere spesso presente per vissuti specifici e aumentata dalla constatazione di essere nella necessità di chiedere un aiuto esterno. La strada che porta la persona a sperimentarsi sempre di più come soggetto attivo in grado di autosostenersi, può prevedere l’attraversamento del territorio della vergogna, scomodo e allo stesso delicato per la persona, per la terapeuta e per la relazione nel suo complesso. Se permane il clima di fiducia e accettazione la vergogna, al pari di tutti i fenomeni intensi, finisce per sbiadire, sostituita da altre emozioni e altri pensieri, poiché nessuna emozione dura per sempre. In terapia la possibilità di uno sguardo diverso, non giudicante bensì accogliente può consentire il graduale recupero della dignità di sé e il relativo superamento dell’eventuale vissuto di vergogna.
Selz Monique (2005). Il pudore. Un luogo di libertà. Einaudi, Torino.